Periodo migliore:
tutto l’anno
Vaccini:
Vaccinazioni: scarso rischio malaria, consigliata comunque la profilassi nelle zone tropicali in bassa quota.
In una parola:
Compà (ciao amico!)
Esperienze da vivere:
Perdersi nel coloratissimo mercato di Chichicastenango, Guatemala; Percorrere la Ruta de las flores ad Auhachapan, El Salvador; Nuotare nelle acque cristalline dell’isola di Roatan, Honduras; Scalare uno dei magnifici tre vulcani dell’isola di Ometepe, Nicaragua; Assistere alla deposizione delle tartarughe di mare a Playa Tamarindo, Costa Rica
In questa meravigliosa avventura ci siamo concentrati su alcuni Stati dell’America Centrale; lentamente, on the road, utilizzando, centinaia di coloratissimi bus e van locali, abbiamo percorso tutta la lunga lingua di terra che collega le due Americhe.
Siamo partiti dal Guatemala dopo esserci innamorati della sua antica cultura maya, i suoi abiti così tradizionali, i suoi mercati e la sua gente così religiosa, abbiamo attraversato il piccolo El Salvador in autostop fermandoci nelle cittadine più suggestive; abbiamo poi proseguito verso sud attraverso il famigerato Honduras con i suoi siti Maya e le sue isole tropicali; ci siamo innamorati del Nicaragua con le sue città coloniali, i suoi vulcani, la sua gente della “revolucion” fino a giungere alla modernissima Costa Rica, con le sue spiagge, i suoi parchi nazionali e la sua natura lussureggiante! Abbiamo saltato solo Belize e Panama, avendoli vistati in viaggi precedenti!
Il nostro itinerario suggerito (2 mesi) | |
una settimana: | Guatemala City, Antigua, Chichicastenango, Panajachel, Lago Atitlan (Guatemala) |
una settimana: | Auachapan, Santa Ana, Suchitoto (El Salvador) |
due settimane: | Copan Ruinas, Roatan, Tegucigalpa (Honduras) |
due settimane: | Leon, Granada, Isla de Ometepe (Nicaragua) |
due settimane: | Playa Tamarindo, La Fortuna/Arenal, Manuel Antonio NP, San Josè |
Atterriamo nella capitale: Guatemala City dopo molte ore di volo. Molti scorci ci ricordano un pò la cittadina filippina di Cebu. La gentilissima Claudia, un nostro contatto di couchsurfing, ci accompagna in auto ad Antigua e, lungo il tragitto, noto una piccola famiglia che, seduta in cerchio, prega in un parco; donne dagli abiti coloratissimi mi sorridono; bimbe dagli occhi grandi color pece giocano nascondendosi sotto le vesti delle mamme. Che sensazione di pace!
Purtroppo arrivati ad Antigua scopriamo che i signori dell’ “Hotel Dionisio” non hanno mantenuto la nostra prenotazione e ci ritroviamo il primo gennaio sera, dopo 14 ore di volo senza un albergo!
Gli imprevisti ci piacciono! Dopo 2 ore di ricerca, stanchi morti, troviamo un alberghetto molto spartano e poco dopo subito in giro con Claudia tra mercatini di artigianato, stradine coloniali e aria natalizia!
Antigua… con i suoi vicoletti coloniali di acciottolato e con le mura color pastello… Questa città alle pendici di ben tre vulcani (Agua, Fuego e Acatenango) è stata capitale del Guatemala fino al 1773 anno in cui fu rasa al suolo da un terremoto devastante.
Chichi, come la chiamano i locali, ci ha proprio rapiti!
I suoi colori, i suoi rumori, la sua gente, la sua storia, l’aria magica che si respira mentre sei seduto sui gradini di St. Thomas ed osservi i “quiche” recitare dei rituali religiosi facendo bruciare della resina di coppale o mentre passeggi tra le tombe colorate del “Cemeterio General”.
Le donne dagli abiti multicolori e dai lunghi capelli corvini affollano le stradine vendendo di tutto e noi ci incantiamo ad ammirare la quotidianità che ci scorre dinanzi agli occhi come un appassionante documentario.
“Pana”, così com’è chiamata dai locali, è una tranquilla cittadina sulle sponde del lago di Atitlàn, oggi partiamo proprio alla scoperta dei suoi “puebli”.
San Juan la Laguna.
Piccolo paesino di artigiane tessili; gironzoliamo senza meta intrufolandoci nel suo intimo rimanendo incantati dalla pace che ovunque si respira.
Dopo venti minuti di navigazione siamo a San Pedro la Laguna.
Una lunga ma piacevole salita ci conduce nel centro del piccolo pueblo. Mercatini di frutta e verdura colorata, bancarelle di abiti usati vendono a nostalgici hippies.
Santiago de Atitlàn. All’interno della cattedrale una trentina di donne in ginocchio dinanzi l’altare recitano il rosario tra preghiere e canti suggestivi.
Seguendo la Lonely Planet partiamo alla ricerca di “Maximòn”, un pupazzo, frutto di vecchie credenze Maya, molto venerato qui. Ottima scusa per intrufolarci nei vicoli più segreti di questa piccola cittadina.
È già ora di andare. Dopo una colazione luculliana a base di pancake preparata dalla dolce Sandra, nostra amica di couchsurfing, partiamo alla volta della famigerata Guatemala City, da lì sarà tutt’un’avventura fino ad Ahuachapan.
Per una lunga serie di combinazioni ci ritroviamo a bordo di un vecchio taxi con Ricoberto e la moglie Liliana che per 100 dollari, (mai pagato così tanto!) ci conducono, tra mille peripezie fino al confine con l’El Salvador. Da lì ci inventeremo qualcosa!
I 120 km che separano la pericolosa capitale guatemalteca dalla frontiera di Villa Nueva sono parecchio tempestosi… Prima ci fermiamo incolonnati perché stanno rifacendo il manto stradale e qui, quando succede, l’ANAS locale risolve il disservizio semplicemente chiudendo per due ore entrambi i sensi di marcia! Caldo soffocante e preoccupazioni varie visto che alle 17.00 la frontiera chiude e da lì in poi è tutta un’incognita!
Finalmente ripartiamo ma poco dopo sentiamo un fischio provenire da fuori… Ricoberto rallenta, poi le quattro frecce… è come temiamo… abbiamo forato… Scendiamo subito (fortunatamente aveva una ruota di scorta… mai vista una ruota così liscia…) e ci mettiamo all’opera anche perché insieme a noi si ferma pure un pick up con tre uomini poco rassicuranti che ci osservano a mò di squali… Liliana trema già di paura… e meno male che vive nella zona più pericolosa di Guatemala City.
Ecco in lontananza la frontiera. I due ci lasciano perché non possono proseguire oltre e, tra tante raccomandazioni, li salutiamo mentre veniamo assaliti da mille rigattieri, taxisti e farabutti vari.
Ma un angelo custode viene in nostro aiuto: Daniel, un missionario spagnolo che vive in Centroamerica da 15 anni e che ci aiuta a raggiungere la nostra meta finale in El Salvador. Siamo esausti!
Il primo assaggio ci mostra un Paese totalmente diverso da quello appena lasciato alle spalle. Gli abiti tradizionali son spariti, il colorito della pelle è più chiaro, non esiste una moneta propria (c’è il dollaro americano), l’accomuna solo la lingua spagnola.
Prendiamo un caffè in un baretto tipico in Plaza Concordia, riscaldati dai primi raggi del sole e, da Ahuachapan, punto di partenza della “Ruta de las Flores”, cominciamo la nostra esplorazione dei piccoli paesini dell’area.
Saliamo al volo ed inerpicandoci in stradine montane arriviamo ad Ataco, vecchio villaggio coloniale che mantiene, però, una forte identità indigena.
Ci ritroviamo nello spiazzale di una chiesa durante una rappresentazione per l’Epifania con balli, canti e maschere tipiche della tradizione salvadoregna.
Nel bus diretto a Juayuà ammiriamo la “Ruta de las Flores”, la sinuosa strada lunga 36 km caratterizzata da piantagioni di caffè e naturalmente serre di coloratissimi e vivissimi fiori.
All’ombra della maestosa chiesa del 1500 con il “Cristo Negro”, ci perdiamo tra le bancarelle della grande fiera gastronomica che si tiene ogni week end ed assaggiamo tante specialità del luogo, dalla yuca (una patata dolce) ai pezzi di zucca con il miele!
Santa Ana, la seconda città più grande dell’El Savador dopo la capitale.
Il centro storico è impreziosito da una bellissima cattedrale bianca stile gotico, un elegante teatro ed un antico edificio coloniale che ora ospita il Municipio.
Siamo ospiti di un couchsurfer, un simpatico studente di medicina di nome Roberto che ci porta un po’ fuori città fino al lago Coatepeque, un romantico lago creatosi milioni di anni fa all’interno del cratere di un grande vulcano. Trascorriamo qualche ora in completo relax chiacchierando ed ammirandolo dall’alto di un “mirador”.
In serata ci raggiunge Cecilia, la sua ragazza, per assaggiare le migliori “pupusas” del centroamerica.
Raggiungiamo con un passaggio la famigerata San Salvador; abbiamo solo un fugace assaggio di questa città visto che il nostro obiettivo è il “Terminal d’Oriente” da dove ripartiremo alla volta della tranquilla Suchitoto in chicken bus.
San Salvador ci appare molto sporca, caotica, abbandonata a sé sessa. Mentre percorrevamo le sue vie, Roberto, il nostro contatto di couchsurfing, ci raccontava dei tempi della “guerrilla”, del terremoto del 2001, dell’uragano Mitch… quante ne ha dovute passare questa piccola e martoriata nazione.
Il chicken bus è un’esperienza che ogni volta ci appassiona!
È folkloristico vedere l’autista che “combatte” col traffico e le strade dissestate; il suo aiutante che si sbraccia, che vende i biglietti, urla la destinazione, aiuta le vecchiette a salire su; i venditori ambulanti di bustine d’acqua o succhi colorati, di noccioline o caramelle, di frutta appena tagliata o platano fritto; i predicatori del Vangelo o i ciarlatani di prodotti dietetici o anti-cancro!
Due giorni di relax a Suchitoto ci volevano proprio, soprattutto per fare il punto della situazione in vista della prossima tappa: l’Honduras!
Quando si viaggia in libertà come stiamo facendo ora, ogni tanto bisogna fermarsi per programmare gli spostamenti successivi, a maggior ragione quando si devono attraversare confini terrestri e per di più con mezzi locali.
Viaggiare in America Centrale con gli autobus del posto è una vera poesia perché entri direttamente nella vita quotidiana dei locali; è faticoso perché, a volte, devi prendere 3-4 bus per raggiungere la tua destinazione e spesso non ci sono né orari e né fermate del bus quindi devi affidarti alla gente del luogo e ti ritrovi anche delle ore, sul ciglio di una strada, con il tuo grosso zaino, ad attendere e sperare che il colorato bus appaia all’orizzonte! Anche questo è uno dei motivi per cui amiamo viaggiare!
Qui a Suchitoto, alloggiamo in un delizioso alberghetto “Villa Balanza” in una vecchia casa coloniale. Abbiamo un terrazzino privato, con due amache, che dà sul lago di Suchitlan, l’atmosfera è meravigliosa e ne avevamo proprio bisogno dopo il caos di queste prime cittadine del Centro America… desideravamo un po’ di silenzio, un po’ di tranquillità…. Ma domani voltiamo subito pagina!
Ci svegliamo molto presto per affrontare questa lunga giornata. Sono le cinque del mattino e fuori è ancora buio… in lontananza si distingue qualche piccola luce di lanterna proveniente dal lago poco distante…
Gli zaini sono pesanti di primo mattino… la cittadina, già sonnolenta di sé, riposa beatamente… in giro c’è solo qualche impiegata che va a San Salvador con la sua polo ben stirata e lo stemma della propria azienda o qualche vecchietto che, in stivali e cappello da cow-boy, machete a tracollo si reca nel bosco in cerca di chissà cosa.
Sono le 05.48 quando arriviamo alla piccola “parada” del bus, crolliamo a sederci su un marciapiede a riposare, ma duriamo poco… veniamo letteralmente assaliti da un “esercito” di formichine piccole ma bastarde che fanno così male… noi danzando come dei matti cerchiamo di liberarci dall’attacco assassino…
Finalmente alle 06.20 arriva il nostro colorato bus. Stavolta l’aiutante dell’autista non urla il nome della destinazione e né cerca di spingere gente dentro… forse anche lui s’è svegliato da poco.
In un’ora raggiungiamo la cittadina di Las Aguilares che altro non è che una grande strada di smistamento per il sud o nord dell’El Salvador.
Riusciamo a conquistare i primi due posti del bus e quindi abbiamo la possibilità di assaporare scene di vita quotidiana salvadoregna…
Las Aguilares. Un’enorme insegna che incornicia un passaggio sopraelevato invita i cittadini a votare la signora “Pena” nelle prossime elezioni dell’”Alcadesa” (sindaco).
Attraversiamo la strada e attendiamo insieme ai venditori ambulanti il bus n°119, destinazione: El Poy (la frontiera) mentre una signorona in carne imbusta le ultime “pupusas”.
Ecco il nostro bus stracarico rallentare, accomodo gli zaini nel porta-bagagli, faccio passare gli ultimi venditori di mango e banane fritte e finalmente mi siedo!
El Poy. Le frontiere mi hanno da sempre affascinato. L’autista del bus ci indica in lontananza l’ufficio immigrazione e noi, mano nella mano, superiamo la lunga fila di camion in attesa, mostriamo il passaporto al controllo, rifiutiamo un paio di tipi con due grosse mazzette di banconote di tutto il Centro America e quando l’ennesimo poliziotto ci si avvicina non posso che sorridergli dicendo: “El Salvador? Lindissimo!”
Timbro di uscita: comincia una nuova avventura!
Siamo in Honduras!
Come sempre accade quando varchiamo una nuova frontiera, sento proprio il bisogno di ripetermelo, di sentirmelo dire che siamo in una nuova nazione, quasi come un rito scaramantico!
Siamo in Honduras! La mia voce risuona nell’aria e rimbomba nei miei pensieri: è l’inizio di una nuova esperienza di vita.
Una sonnolenta bandiera a strisce bianche e blu con cinque stelle al centro non ha nemmeno la forza di sventolare. Paghiamo i 120 Lempiras di tasse di ingresso, cambiamo 20 dollari da un simpatico vecchietto e in taxi arriviamo nella cittadina di frontiera di Nueva Ocotepeque, da lì proseguiremo, via bus, speriamo, fino a La Entrada… siamo ancora parecchio lontani ma siamo tranquilli, il sole brilla in alto nel cielo, sono solo le 10.16 del mattino! I dieci minuti di attesa per la partenza promessi dall’autista diventano 50, ma poco importa, non abbiamo fretta.
Si parte, ogni paesino che attraversiamo diventa un motivo di “battaglia” per il povero “aiutante” dell’autista che appena intravede un potenziale passeggero vola letteralmente dal bus e ritorna con valigie, borsoni, buste e nuovi clienti… nel frattempo sale chi vende acqua fresca in bustine trasparenti o “pan de huevo” mentre l’autobus prosegue verso la Terra dei Maya.
È tardo pomeriggio quando lasciamo La Entrada per l’ultima tappa. Ci arrampichiamo su per la montagna e, mentre cerco di tenere sotto controllo i nostri zaini adagiati sul tetto del minivan, il paesaggio circostante cambia completamente.
Finalmente: “Bienvenidos a Copan Ruinas”.
Le rovine di Copan rappresentano la vita economica e politica ai tempi dei Maya.
Si viene subito colpiti dalla grandiosità architettonica nel luogo dove risiedevano i Re o dove avvenivano i riti sacri. Giriamo e ci intrufoliamo ovunque fino a giungere al “campo per il gioco della palla“ dove ci rilassiamo distendendoci tranquillamente sul prato non lontano dalla maestosa “Scalinata dei geroglifici“. Chiudi gli occhi ed immagina i Re “giaguari o conchiglia“ assistere ai riti Maya, volti dipinti ed ornati da piume, uomini con costumi dalle grandi ali danzare sui gradoni delle piramidi mentre altri, investiti da poteri divini, alzano al cielo un cuore ancora pulsante mentre un eclissi oscurava il cielo.
Partiamo all’alba, oggi attraversiamo da sud a nord quasi tutto l’Honduras.
Ci fermiamo a San Pedro Sula, una delle città con il più alto numero di omicidi al giorno, solo per cambiare autobus e ripartiamo subito alla volta di La Ceiba.
Il paesaggio è da rimanere incantati, tante ore di vari autobus immersi in una fitta vegetazione che sembra caderti addosso. Verde brillante, tutto scintilla con i raggi del sole.
Al porto di La Ceiba, oltre al biglietto per il traghetto, ci porgono una pillola contro il mal di mare… la situazione si fa preoccupante… ed avevano ragione, l’ora e mezzo che ci separa dalla piccola isoletta caraibica mette a dura prova il nostro stomaco e così metà dei passeggeri passa il viaggio con la testa in un sacchetto di plastica.
Onde incredibili, sembra di stare sulle montagne russe. Approdiamo verso le 18, prendiamo un taxi, lasciamo gli zaini nella nostra umida camera e andiamo a sbaffarci tre empanadas ripiene di pomodorini, pollo, cipolle, fagioli e formaggio: squisite! Welcome ai Caraibi!
La spiaggia con un mare trasparente dista quattro passi dalla nostra guest house. Rimaniamo distesi un paio di ore al sole quando sentiamo un canto gospel provenire da una chiesetta tutta bianca proprio sulla spiaggia.
Incuriositi ci avviciniamo e nonostante il nostro abbigliamento da spiaggia ci invitano subito ad entrare. Tutte le signore vestite a festa si girano verso di noi e ci sorridono. Una donnona nera si avvicina all’orecchio di Mark e sussurra : “Siamo felici di avervi qui“. Che gioia, che festa, che musica. In questa parte dell’Honduras non si parla spagnolo ma inglese, la pelle è color caffè, la musica reggae rimbomba ovunque.
Sulla barchetta che da West End ci ha condotti a West Bay, con una giornata meravigliosa ed un mare così trasparente da sembrare finto, sembravamo due piccoli pirati pronti all’arrembaggio.
Scesi sulla spiaggia siamo così rapiti da ciò che vediamo che a stento scattiamo qualche foto… il paesaggio è da rivista pubblicitaria… palme di cocco, sabbia bianca finissima, acqua così brillante che le barche sembravano librarsi in aria…
In pochi secondi lasciamo tutti i nostri averi e ci tuffiamo in acqua.
Trascorriamo l’intera giornata tra bagni, sole e relax… alla fine, ustionati nonostante i kg di crema protezione solare “50” e bucherellati da zanzare e insetti della sabbia vari, poco prima del tramonto decidiamo di rientrare a West End via terra.
Anche questa volta, nonostante il paradiso tropicale, abbiamo optato per una scelta da viaggiatori più che da turisti vacanzieri e, lontani dai resorts extra lusso, abbiamo trovato una guest house molto modesta gestita da gente del posto e che si è rivelata la scelta più adatta a noi. Questo per dire che, anche paradisi terrestri come questo, possono essere goduti da backpackers squattrinati senza spendere una fortuna!
Alle 07.00 del mattino parte il nostro traghetto per La Ceiba mentre due navi da crociera approdano all’isola di Roatan.
Velocemente recuperiamo i nostri zaini ed in taxi corriamo al terminal dei bus per la capitale.
Riusciamo a prenderne uno al volo e in sette ore raggiungiamo la famigerata Tegucigalpa, per gli amici: “Tegus”.
Tegucigalpa è una città spaventosa. La puoi girare in lungo e largo ma sei sempre nei suoi sobborghi. Di giorno ti sembra di nuotare in un oceano di case che si diramano in tutte le direzioni fino a perdita d’occhio… di notte vedi solo tante luci giallognole, i lampioni, che si inerpicano sulle colline, si tuffano nelle vallate e si espandono nelle pianure.
Incontriamo Pepe e un ragazzo matto coreano in viaggio da un anno: Wong. Pepe, come tutta la gente di questa meravigliosa comunità mondiale di couchsurfing, è molto disponibile e simpatico e ci mostra un po’ la sua città prima di andare a cenare in un delizioso ristorantino locale con pupusas e una fonduta di mais e fagioli.
Finiamo la serata a bere una birra in un bar clandestino del sobborgo di Tegucigalpa scherzando, ridendo e ballando fino alle 2 del mattino. Tra quattro ore si parte per il Nicaragua!
Alle 5 del mattino comincia la nostra avventura verso Leòn. 250 km li copriamo in 10 ore! That’s Central America!
Prima un bus verso Choluteca, paesino ad un’ora dal confine dove non c’era neppure l’asfalto! Solo bancarelle e confusione.
A bordo di un minivan, con una coppia di olandesi: Martin e Maria raggiungiamo il confine con il Nicaragua per la solita passeggiata piacevole tra un ufficio dell’immigrazione e l’altro.
Timbro di salida dell’Honduras, cambio i lempiras in cordoba da uno dei tanti rigattieri per strada, attraversiamo il ponte che divide le due nazioni quando un grande cartellone ci dà il “Bienvenido in Nicaragua”.
Gli scortesi agenti dell’immigrazione nicaguarensi ci fanno pagare 12 dollari a testa per l’ingresso senza darci ulteriori spiegazioni e giusto in tempo per correre alla fermata dei piccoli bus per Leòn… magari! In realtà scopriamo presto che possiamo proseguire solo fino a Chinandega, paesino di snodo nell’entroterra, da lì finalmente riusciamo a raggiungere la nostra agognata meta.
Alloggiamo in una piccola oasi “Casa Ivana”, a due passi dalla piazza centrale e nonostante la stanchezza, lasciati gli zaini e dopo una rilassante doccia, ci immergiamo nelle stradine di questa cittadina “dal fascino coloniale decadente” così come la Lonely Planet la definisce.
Ovunque murales a testimonianza del recente passato della rivoluzione e della guerra civile, questa Nazione ha davvero sofferto tanto per la sua guerra civile e dappertutto mostra ancora i suoi segni.
Museo de Leyendas y mitos. Un ragazzo ci fa da guida narrandoci le vecchie leggende leonesi fino alle descrizioni delle cruente torture e oltraggi ai diritti umani che si sono perpetrati fino al 13 giugno del 1979, quando il comandante Tellez aprì un varco nelle difese di Somoza, liberando tutti i prigionieri.
Ci spostiamo verso la “Basilica de la Asunciòn” e proprio dinanzi ad essa s’erge il “Museo de la Rivoluciòn”, decidiamo di fermarci a visitarlo. Ci fa da guida Marcelo, un guerrigliero combattente per la rivoluzione di Leòn libera.
Marcelo ci spiega nei dettagli tutta la storia del Nicaragua a partire dal generale Sandino, la sua vita, le sue gesta, le sue battaglie ed il sogno di rendere libera Leòn, l’amore per la sua Patria ed il suo popolo, la salita al potere della dinastia dei Somoza, i rivoluzionari uniti con un solo scopo, le donne combattenti, le barbarie, la violenza, la sofferenza ma con esse la grande speranza di essere liberi, di camminare sereni per le strade del proprio paese, di esprimere il proprio pensiero. Ecco perché Marcelo all’età di 16 anni ha impugnato le armi. È stato commovente vedere quell’uomo parlare di guerra, una guerra vissuta in prima persona con il cuore e con l’anima.
Viva la revoluciòn, viva Leòn libera.
Oggi si celebra l’inaugurazione della nuova piazza centrale e c’è pure il discorso d’insediamento del nuovo sindaco! La Basilica de la Asunciòn illuminata a festa è ancora più bella! Hanno allestito un palco sul quale si sono esibiti tanti ballerini nelle danze folkloristiche nicaguarensi con maschere e fuochi d’artificio.
Decidiamo di restare un altro giorno per goderci ancora di più questa deliziosa cittadina!
Sveglia senza orario, colazione in relax con yogurt e frutta in giardino, passeggiata senza meta per le vie caratteristiche della città, capatina alla cattedrale e sulla sua cupola; pranzetto al solito posto “Asados de Pelibuey” e lunga visita al Museo “Ortiz Gurdian”, famoso perché racchiude la più importante collezione di dipinti del Centramerica.
Dopo un cambio bus fugace nella capitale Managua proseguiamo alla volta della vecchia Granada. Poco dopo siamo già comodamente seduti nella piazza principale a gustare un ottimo “vigoron” (yuca in purè, verdura leggermente piccante e cotenna di maiale fritta)!
Con un “raspados” (una sorta di granita alle spezie o frutti tropicali) in mano ci incamminiamo per le viuzze di questa graziosa cittadina coloniale.
Le chiese si susseguono una dopo l’altra, tutte con delle facciate molto pittoresche ma alquanto scarne all’interno.
Visitiamo la casa in cui visse suor Maria Romero Meneses, prima santa del Centro America.
Terminiamo la giornata nella piazza centrale dove un gruppo musicale alla buona suona vecchie canzoni mentre senzatetto e barboni vari ballano felicemente. Che sensazione di pace e di unione, sembrava proprio che i pregiudizi e le differenze non esistessero più.
Classica giornata di trasferimento. Vari autobus, qualche ora di viaggio ed eccoci al porto di San Jorge pronti ad imbarcarci alla volta di Moyogalpa, nell’isola di Ometepe.
Pranziamo con “pollo asado con arroz y frijoles” nel ristorantino “Tiburon” a due passi dal Lago Nicaragua.
Gironzoliamo un pochino in bicicletta per le vie di questo tranquillo paesino prima di ritirarci nella nostra oasi di pace “Soma hotel” nel verde più lussureggiante a preparare i nostri prossimi spostamenti.
Veniamo a sapere che il “Rincon de la Vieja”, vulcano del nord del Costa Rica è in piena eruzione ecco perché siamo costretti a cambiare tutti i nostri programmi… ma questo è il bello dei viaggi on the road.
Noleggiamo uno scooter e partiamo alla scoperta dell’isola che ci ospiterà in questi giorni.
Decidiamo di cominciare dalla sponda est , da Playa Santo Domingo.
Per strada ci incantiamo ad ammirare lo scorrere tranquillo della vita degli isolani, centinaia di mucche e cavalli liberi e selvaggi ci osservano un po’ perplessi, tante scene da “La vecchia fattoria” con porcellini, chiocce, pulcini…
Un’oretta e mezzo dopo ci ritroviamo nella cittadina di Altagracia, controlliamo la mappa e: “Cavolo, siamo andati un po’ troppo oltre”… chiediamo info al solito isolano sorridente e disponibile e 15 minuti dopo parcheggiamo il nostro scooter sulle rive dell’agitato lago, siamo a Playa Santo Domingo.
I nostri occhi si riempiono di meraviglia: “Ojo de Agua”. Una vera e propria piscina naturale nel cuore della jungla alimentata da acqua sulfurea, vulcanica con i suoi fondali dai colori così particolari che solo la Natura sa dipingere. Trascorriamo così diverse ore in completo relax sonnecchiando sotto una palma o godendoci quest’acqua così fresca.
Costeggiamo le pendici dell’imponente Vulcano Conception fino a raggiungere il Charco Verde.
Un tragitto nella natura più selvaggia lungo le sponde di una laguna di mangrovie e del maestoso Lago Nicaragua.
Che sensazione sedersi sulla battigia del lago in tempesta, gli alberi piegati dal vento che si tuffavano con le loro cime in quelle acque così torbide mettevano inquietudine.
Sembravamo due naufraghi.
Punta Jesus Maria. L’incontro di due piccole baie. Il vulcano Conception ci osserva severo dall’alto, le acque rosse per il sole sembrano danzare, una piccola lingua di sabbia nera vulcanica si sporge timidamente verso la lontana sponda opposta… un’airone solitario sembra ammirare il sole che ci saluta lentamente…
Noi, estasiati, scattiamo così tante foto e video che, quasi per magia, entrambe le batterie ci consigliano di godere di quello spettacolo con il cuore e con gli occhi, imprimendo quelle immagini nella nostra anima invece che su una pellicola…
Alle 6.50 saliamo sul bus che ci conduce alle falde del Vulcano Concepcion.
Dopo un’oretta e mezzo di camminata comincia la vera salita.
Dai 100 ai 400 metri non ci sono grossi problemi, Nain, la nostra guida, spesso si ferma per illustrarci la flora e la fauna di questa splendida isola, leggende, aneddoti e tante storie divertenti.
Le farfalle seguono il nostro sentiero, gialle, bianche, rosse e nere… stupende.
Poi sudore, fatica, caldo, male alle gambe… piccole soste per riprendere fiato… vediamo vari tipi di scimmie, uccelli colorati, insetti strani, piante secolari fino ad arrivare alla nostra meta: il Mirador. La vista è mozzafiato, il vento fortissimo, quasi ti sposta. Dinanzi a noi il lago, tutta la costa nel suo splendore; dietro di noi la lava solidificata dell’imperioso vulcano Concepcion.
Lasciamo l’isola alla volta del Costa Rica.
Un traghetto, un taxi e vari bus ci conducono alla frontiera. Mai vista una coda così lunga.
Finite le solite pratiche burocratiche (impieghiamo quasi due ore!), prendiamo un bus prima per Liberia e poi per la nostra destinazione finale: Playa Tamarindo!
Quando varchiamo la frontiera constatiamo che tutto il paesaggio cambia, se finora, passando da una nazione all’altra non avevamo notato grandi differenze, stavolta invece… la gente non salta più sugli autobus ancora in corsa ma forma delle ordinate file, si vedono ragazzi ben vestiti e spesso con tavole da surf sotto braccio e tutto ha costi esorbitanti…
Ci svegliamo e andiamo direttamente in spiaggia a tuffarci nell’oceano… in fondo dobbiamo solo attraversare la strada…
Al calar del sole, partiamo alla volta di Playa Jesus, 15 km da qui, per cercare di vedere le grandi tartarughe verdi del Pacifico deporre le uova…
Comincia la ricerca… speriamo bene! Proviamo prima in una spiaggia ma invano… seguiamo le nostre guide attraverso un sentierino che ci conduce in un’altra spiaggetta da film… il cielo è un po’ nuvoloso ma la luna piena riesce ad illuminare tutto!
L’attesa è lunga, la Natura ha i suoi tempi. Improvvisamente, in lontananza, scorgiamo sulla battigia una grossa macchia nera, sembra un piccolo scoglio, ma… osservando meglio… quella macchia nera appena sbucata dalle acque del Pacifico si muove… va verso la sommità della spiaggia, poi si ferma, cambia idea, si rigira per rituffarsi nel mare nero della notte.
In varie ore ne scorgeremo una mezza dozzina ed ogni volta l’emozione è grande… l’emozione di seguire questi grossi anfibi preistorici in silenzio, senza luci, alle loro spalle, cercando di non disturbare il loro lento movimento…
Dopo qualche giorno di mare è tempo di tuffarci nel cuore della natura di questo splendido Paese. Prendiamo quattro autobus per arrivare fin a La Fortuna!
Il paesaggio muta completamente lungo il nostro cammino.
I surfisti della Billabong o della Quicksilver si allontanano per far spazio a grandi colline verdi e mucche “Milka” che sembrano paesaggi svizzeri alpini.
Il nostro ostello è delizioso. C’è un’enorme cucina, un bel salottino con un grande giardino adiacente. Pensiamo di trattenerci qui almeno tre notti. Non lontana da qui c’è una cascata, ottima occasione per un tuffo con la liana nella pozza d’acqua gelida.
Mattina al mare, sera alle pendici del Vulcano Arenal.
Nel pomeriggio partiamo per un hiking.
Ci immergiamo completamente in una foresta pluviale che ti inghiotte inesorabilmente… non importa se fuori splende il sole, nel suo interno è buio.
Entriamo in un altro mondo, mille tonalità diverse di verde e popolato da tanti animali. Scorgiamo un bradipo che sonnecchia in cima ad un albero, scende raramente e solo per poco tempo, i puma ed i giaguari sono sempre in agguato.
Uccelli variopinti dai colori accesi volano gioiosi e ti trasmettono un grande senso di libertà.
Dondoliamo su una liana a mò di Tarzan, ci inerpichiamo su scoscesi sentieri seguendo Guillermo, la nostra guida, uno dei superstiti dell’eruzione fatidica del 1968… allora si pensava che “Arenal” fosse solo una montagna… la vita scorreva tranquilla tra i verdi pascoli… le prime avvisaglie furono date dalle mucche che improvvisamente smisero di abbeverarsi nel fiume… l’acqua era bollente… ma i poveri ed ignoranti contadini non potevano immaginare cosa stesse per accadere… un bel giorno di marzo, la storia di La Fortuna segnerà una data importante: il cielo si oscura, la terra comincia a tremare ed in pochi minuti per molti non c’è più nulla da fare… gas tossici scendono a valle alla velocità di 100 km l’ora uccidendo tutto ciò che incontrano… poi rocce incandescenti, come pioggia infuocata, terminano l’opera. Un intero villaggio è raso al suolo.
Arenal non era una montagna… Arenal è un vulcano.
Proseguiamo il nostro cammino fino ad un letto di lava pietrificata.
Comincia ad imbrunire ed abbiamo ancora tanta strada dinanzi a noi.
Improvvisamente la nostra guida si ferma. Sembra terrorizzato. Ci fa allontanare dalla zona. C’è un pericolosissimo serpente pronto ad attaccare, evidentemente disturbato dalla nostra presenza. Ci mettiamo a distanza di sicurezza e lo osserviamo con ammirazione. Ci è andata bene. In due ore saremmo morti per un suo morso.
Andiamo avanti, stavolta con più cautela, mentre la foresta sprofonda nel buio più assoluto e neppure la splendente luna piena riesce ad illuminare il nostro cammino. Le creature della notte cominciano a sbucare fuori dai propri nidi, tane, buchi…
Ma è ora di rilassarci! Ci fermiamo in una hot spring, una corrente di acqua termale calda… a mollo per un’ora, come in una grande vasca con idromassaggio ci godiamo il momento ripensando alla grande avventura appena vissuta…
Di buon mattino ci ritroviamo in sella a docili cavalli per immergerci nuovamente in questa natura così fitta. Che sensazione di libertà trotterellare tra quei sentieri montagnosi… ci fermiamo per scendere di 700 metri per ammirare una maestosa cascata per poi ripartire a galoppo tra verdi praterie e azzurri canali… rimaniamo incantati da due tucani che fanno una breve apparizione e concludiamo questa indimenticabile avventura in una riserva di grandi farfalle colorate e microscopiche ranocchie rosse della grandezza di un’unghia!
Come al solito, per raggiungere una destinazione, anche se non molto distante, dobbiamo viaggiare tutto il giorno cambiando numerosi bus, ma ormai siamo abituati ed è quasi divertente!
E così, partendo alle 5.30 del mattino da La Fortuna ci ritroviamo prima a San Ramon, poi Punta Arenas, poi Quepos, infine a destinazione!
Dodici ore di viaggio ma siamo di nuovo al mare!
Manuel Antonio National Park. All’ingresso ci muniscono di mappa che seguiremo dettagliatamente per non perderci nemmeno un metro quadro di questo paradiso della Natura. Varchiamo il cancello, sin da subito scorgiamo le grandi farfalle azzurre, arriviamo alla spiaggia, meravigliosa, ne è valsa la pena svegliarsi presto perché riusciamo a godercela senza l’orda dei turisti che poco dopo arriverà chiassosa.
Seguiamo dei sentierini lungo i quali incontriamo tante scimmie, lucertoloni, aguti…
Due signori osservano con un grande binocolo, la sommità di un albero. Ci invitano a dare un’occhiata. Rimango pietrificata dallo stupore. Su di noi c’è mamma bradipo con il suo piccolo che si muove teneramente.
Più in là troviamo una ragnatela enorme con il suo architetto intento a mangiare un grosso insetto appena catturato.
Dopo qualche passo cominciamo ad ascoltare un rumore sordo, ripetuto: ecco un picchio nero dalla testa rossa. Passeggiamo nella foresta, suoni diversi si confondono tra loro, il rumore dei nostri passi sulle foglie, l’urlo delle scimmie, lo strisciare dei rettili, il canto degli uccelli…
E dopo aver camminato per diversi chilometri ci fermiamo per tuffarci in un mare verde trasparente, mentre nuotiamo vediamo le scimmie giocare sugli alberi a lanciarsi frutti appena rubacchiati dalle borse dei turisti sulla spiaggia.
Poco più in là una banda di orsetti lavatori perlustra la zona in cerca di cibo…
È domenica pomeriggio qui in Costa Rica e tutti i cittadini della capitale ritornano a San Josè dopo il bel week end al mare. Tra curve e traffico soffriamo un pochino ma alla fine raggiungiamo la capitale e poco dopo ci ritroviamo da “Dona Lela” a mangiare un ottimo “casado” con il nostro amico di couchsurfing: Carlos!
Qui fa freschetto, San Josè sorge alle falde del vulcano “Irazù”.
Toucan Rescue Ranch. Questo centro riabilitativo è gestito con grande passione e devozione per gli animali. Ammiriamo tucani, pappagalli colorati, bradipi, porcospini, scimmie, gufi, un gatto tigrotto…
Ognuno ha la sua storia. C’è chi è stato ferito da un altro animale, chi investito da un’auto, chi maltrattato, molti giungono qui in fin di vita… i volontari lavorano duramente per curarli, coccolarli, nutrirli e riportarli alla vita.
Trascorriamo una mattinata indimenticabile!
Barrio Amon, un quartiere architettonicamente ed artisticamente molto interessante. Delizioso pranzetto al “Cafè Mundo” e si riparte alla volta della Valle di Orosi.
Passiamo per la vecchia capitale: Cartago con i suoi abitanti dalle gambe corte! 😉 per poi rituffarci nella splendida e rigogliosa Natura costaricense tra vallate, ruscelli e un lago incantevole. L’aria era fresca, il sole caldo faceva risplendere ancora di più il verde magnifico dei prati, i colori dei fiori esplodevano nel mezzo….
Non c’è modo migliore per salutare questa splendida area del mondo che ci ha accolto per quasi due mesi.
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Bangladesh Capitale:Dacca Moneta:Taka Periodo migliore: L’inverno (da novembre a febbraio)